La DOMANDA è DONNA! E la risposta?
- Paesane
- 8 mar 2018
- Tempo di lettura: 4 min

Che cosa hanno di diverso le donne cilene (o sudamericane?) dalle donne europee? Non ha senso questa domanda, forse. Eppure mi tormenta da quando ho iniziato a leggere l’Allende e la Serrano. Forse le donne cilene, quelle di fantasia (o quelle reali?) vivono solo nei libri delle loro autrici, nella mente di quanti le leggono e in quella mia. Forse quella di “donna” è un’essenza unica, un insieme di atomi che si scontrano, si combinano e danno vita all’”essere-donna”; oppure ogni essenza è diversa dall’altra e quindi non avrebbe senso parlare di donne al plurale né tantomeno di donne cilene, italiane europee, africane. La domanda però, in me, rimane; e fino a quando non proverò a dare qualche risposta, ad analizzare quel poco che riesco ad immaginare, essa continuerà a tormentarmi.
Le donne e le ragazze cilene descritte da Marcela Serrano serbano un patrimonio di forza. Sarà questa una forza tutta personale della scrittrice? Saranno i suoi libri uno specchio della sua anima, nella quale è racchiusa l’impronta genetica di un Paese e di un’appartenenza? Saranno davvero così forti e solide le donne cilene? O lo sono state “solo” quando si sono trovate a combattere (o ad applaudire?) Pinochet? Soprattutto: risponderò mai a tutte queste domande e alle altre che, per rispetto, non posso scrivere, onde evitare un noiosissimo elenco ridondante di punti interrogativi? Le amiche che s’incontrano (“Noi che ci vogliamo così bene”, 1991), decidendo, dopo diverso tempo e tanta lontananza, di lasciare un po’ da parte famiglia, mariti, lavori, quanto meno di accantonare tutto ciò per il tempo di una vacanza, sono prima di tutto colleghe. Conosciutesi in ambito universitario e di ricerca, sono ancora lì, cambiate e cresciute, ma soprattutto ben DEFINITE. Si sono definite come persone, hanno definito il loro percorso, lo hanno vissuto appieno e continueranno a farlo fino a quando sarà loro concesso di farlo. Sono donne, a mio avviso, affascinanti, perché sembrano aver compiuto passo per passo un cammino che avevano prescelto, che avevano compiutamente ed autonomamente deciso per se stesse. Quasi a scontrarsi con la storia di cui sono per forza testimoni, hanno creato la propria vita. L’hanno organizzata e non semplicemente accettata in dono e subìta passivamente. Già qui mi potrei fermare, perché non so come meglio descrivere il fascino che deriva dalle loro personalità. Non sono tutte grandi geni o grandi inventrici; sono, per questo, super donne? Proprio perché rientrano nella norma e non sono dotate di particolari doti, per me lo sono, perché spiccano in un mondo di noiosa banalità e di livellamento verso il basso, perché il loro essere donna corrisponde ad una forza che non mi sembra poi così scontata. Molto più probabilmente esse rappresentano semplicemente ciò che io vorrei che ogni donna fosse. Le loro vite, lungi dall’essere perfette, sono in realtà permeate di errori e di guai in cui ancora si trovano ad annaspare. Tuttavia questo annaspare dona loro ulteriore fascino, perché le presenta come donne che si auto-inventano e cercano in ogni modo ed in ogni istante di essere vive, di decidere della propria vita. I tormenti d’amore, di alcol, di vizi e anche di virtù le caratterizzano pienamente. Proprio qui sorgono le mie domande più dure: sono caratteristiche, queste, di tutte le donne? O appartengono solo alle cilene che hanno vissuto nel periodo di Pinochet? O sono caratteristiche esclusive della Serrano?
Il bisogno manicheo di definire la vita in bianco e nero mi porta ad una confusione tale che, penso, dovrei conoscere tutte le donne del mondo, non per categorizzarle, ma per capire a quale tipo di donna appartengo io.
Per non parlare delle nove donne che si riuniscono nello studio di una decima (“Dieci donne”, 2011), psicoterapeuta, per parlare e per ascoltare; a che universo appartengono queste sconosciute pazienti? Che cosa significa, oggi, parlare di femminilità? Forse la domanda è un’altra: io, come donna, che personaggio della Serrano potrei essere? Ognuna di noi, che ruolo ha in questo universo? O almeno nella propria vita, per non avere manie di protagonismo e rimanere un tantino più umili…
Anche le ragazze e le donne descritte da Isabel Allende hanno diversi segni distintivi. Non mi riferisco all’impronta che ogni autore dà ai propri personaggi. È ovvio che ognuno scriva e crei a modo proprio. Tuttavia una sensibilità particolare permea le donne dell’Allende. Eteree, avvolte da un alone di magia. Così le ricordo nelle letture che ho fatto quando mia madre mi regalava i suoi libri. Così le ho ritrovate quando, dopo molti anni, le ho ripescate nei romanzi che avevo tralasciato e mi ero persa. Paula, sua figlia, la bambina e la donna che per certo è esistita, non è un simbolo di fantasia. Le altre, però, i suoi fantasmi, le sue nonne, le creature che ha creato, sono, credo, simbolo di una cultura.
Le donne italiane potrebbero mai essere descritte in quel modo così evanescente? E le donne africane? C’è ancora molto da indagare…
Gabriella Imbrici
Foto: Anna Maria Maiolino, Por um Fio.
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