DEPRESSIONE POST PARTUM: il lato oscuro di una gravidanza.
- Paesane
- 30 gen 2019
- Tempo di lettura: 4 min

Decidere di avere un figlio, affrontare 9 mesi di gravidanza, partorire e dare il via alla nuova meravigliosa vita da mamma.
Magari a volte va davvero così.
Molto più spesso il percorso verso la genitorialità non è poi così tutto rose e fiori.
Il processo di costruzione dell’identità materna è infatti un lungo viaggio interiore durante il quale la donna fa i conti con i propri vissuti legati al ruolo di figlia e alla costruzione dell’immagine di sé come mamma, un percorso in cui si fanno avanti ansie, paure e incertezze.
Eppure troppe donne restano prigioniere di un modello socio-culturale che vede le neomamme sempre felici e sorridenti, votate esclusivamente al neonato e soprattutto armate di uno spirito guida identificabile come “istinto materno” a mò di vocina interna pronta a dire cosa fare e come fare.
E proprio per non accettare il senso di inadeguatezza davanti all’apatia e alle sensazioni negative suscitate dal proprio bambino, si tendono a sottovalutare tutti quei sintomi riconducibili alle diverse forme di depressione post partum.
La depressione post partum infatti, può esplicarsi in maniera lieve e transitoria come nel baby blues, in una depressione più duratura e conclamata, e anche in forme più gravi e fortunatamente più rare di vera e propria psicosi post parto.
Il cosiddetto baby blues o maternity blues, non è definibile come vero e proprio disturbo psicologico in quanto si presenta come effetto fisiologico del calo ormonale che si verifica 3-4 giorni dopo la nascita del bambino sotto forma di tristezza, sbalzi di umore, frequenti crisi di pianto, stato di agitazione, difficoltà di memoria e concentrazione. Molto spesso questo stato di malessere viene minimizzato sia perché considerato diretta conseguenza della stanchezza dovuta alla gestione del bambino, sia perché la neomamma non vuole ammettere di sentirsi triste e inadeguata in una situazione che dovrebbe essere di estrema gioia così come vissuta anche da parenti e amici intorno a lei. Tale condizione, che colpisce circa l'80% delle mamme, tende a passare da sola nel giro di poche settimane grazie a pochi e semplici accorgimenti quali sostenere e aiutare la mamma e non lasciarla sola a prendersi cura del bambino soprattutto nei delicati momenti dell’allattamento.
Quando lo stato di tristezza è prolungato e si associa a sintomi quali preoccupazione, ansia, umore deflesso, anedonia cioè perdita di interesse e piacere verso qualsiasi attività, alterazioni nella sfera del ciclo sonno-veglia (insonnia o tendenza a dormire troppo) e dell’alimentazione (inappetenza o senso di fame eccessivo), e soprattutto con comportamenti inadeguati rispetto al prendersi cura del bambino come il non volerlo prendere in braccio o reagire negativamente a ogni suo pianto, si entra nella sfera della Depressione post partum, un disturbo che si presenta generalmente dal terzo al dodicesimo mese dopo il parto e interessa circa il 10-15% delle mamme. Le modalità con cui tale disagio si esplica variano su un continuum che vede da una parte comportamenti di iper controllo e quindi mamme costantemente in apprensione per tutto ciò che riguarda le esigenze del bambino, ad esempio lo lavano spesso perché preoccupate della sua igiene, viene eccessivamente nutrito perché si tema non cresca, si controlla spesso che stia respirando o se stia sudando, non lo si porta mai fuori casa perché potrebbe prender freddo; dall’altra parte c’è invece l’atteggiamento trascurante in cui le mamme delegano compiti e responsabilità legate alla cura del bambino. A risentirne in questi casi è sicuramente la qualità della relazione che si instaura tra mamma e figlio in quanto viene meno la decodificazione e il soddisfacimento dei bisogni del bambino, in una fase che è delicata e fondamentale perchè alla base della costruzione di un attaccamento di tipo sicuro. Quando infatti la depressione post partum si prolunga perché non curata, spesso si riscontrano delle problematiche di tipo emotivo, cognitivo e anche fisico nei bambini che possono presentare ad esempio sensibilità alle infezioni e aumento del rischio di allergie, deficit dell'attenzione, disturbi dell’apprendimento, disturbi del linguaggio e problematiche a livello sociale e affettivo.
Ben più grave è la psicosi post parto, problematica tristemente nota per i casi di cronaca legata a episodi di infanticidio. Per queste neomamme, che sono circa lo 0.2%, il bambino è una grande fonte di stress e angoscia, tale da arrivare ad odiarlo e a manifestare fantasie aggressive nei suoi confronti dai risvolti a volte tragici.
Le cause che possono portare all’esordio di una depressione post partum sono diverse, legate sia a condizioni perinatali quali gravidanze difficili, complicazioni ostetriche, parti pretermine, parti multipli e problematiche del neonato, sia alle caratteristiche della donna come problemi di salute, bassa autostima e scarse conoscenze dello sviluppo infantile, sia a fattori socio-ambientali come basso sostegno sociale, difficoltà economiche, eventi di vita stressanti e problematiche di coppia.
In queste circostanze è importante non isolarsi ma anzi accettare l’aiuto di chi si offre disponibile a dare una mano, aver bisogno d’aiuto è normale e non implica essere inadeguate. Avvalersi di parenti o figure professionali in grado di dare supporto permettono alla mamma di prendersi dei momenti da dedicare a sé stessa, ad esempio svolgendo dell’attività fisica che migliora l’autostima e l’immagine corporea, in modo da non vivere un legame di totale fusione col proprio figlio e sentirsi meno stressata dal ruolo genitoriale. Molto spesso le neomamme tendono a non concedersi questi momenti di autonomia e relax per il senso colpa legato allo stereotipo di un maternage totalizzante e proprio per evitare questi stereotipi è necessario guardare la maternità con occhi capaci di comprendere quanto gli stimoli e le pressioni culturali abbiano un peso rilevante sui vissuti intrapsichici di ciascuna donna. Molto spesso le ansie e le paure di una neomamma sono ingigantite dal doverle tenere nascoste per paura di sentirsi giudicate incapaci.
Un primo passo è quindi prestare attenzione al fenomeno soprattutto da parte degli specialisti che ruotano attorno alla donna dal periodo di gestazione al dopo la nascita, in particolare medici di base, ginecologi e pediatri; ma anche dedicare un focus sull’argomento durante i corsi preparto organizzati da centri psicosociali e consultori, incentivare l’incontro tra neomamme in modo da potersi confrontare e non sentirsi sole a vivere queste difficolta ma anzi abbiano modo di constatare come moltissime mamme siano accomunate dalle stesse problematiche perché a volte, già il semplice fatto di poterne parlarne con qualcuno migliora la situazione.
di Nunzia Merafina
Immagine: Tote Mutter, di Egon Schiele (1910)
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