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Italia 2018, Great Expectations

  • Immagine del redattore: Paesane
    Paesane
  • 4 lug 2018
  • Tempo di lettura: 4 min

Agli Italiani piacciono la pizza e la mozzarella. Agli italiani piace la mamma, un po’ meno la fidanzata e moltissimo Belen. Agli Italiani piace il calcio, la squadra del cuore più della Nazionale, che pure amano, con moderazione e con molti travagli recenti.

Agli Italiani piace essere mantenuti, e piace l’idea del successo personale, ed incredibilmente queste due aspirazioni sanno convivere non solo nello stesso popolo ma anche nello stesso individuo. Reddito di cittadinanza e flat tax non sono solo i due pilastri delle recenti campagne elettorali, bensì l’ormone contraddittorio di queste due anime. E per questo hanno portato i loro rispettivi sponsorizzatori alla vittoria politica.


Oggi, nel tempo dei social, ogni politico ha la sua personale tribuna, senza contraddittorio, senza possibilità di replica. Questo da una parte è interessante e liberatorio, dall’altro scatena effetti rebound per cui ogni opinione che non abbia il bollino dell’ufficialità è da giudicarsi indegna. “È un’opinione personale e non quella del Governo”, neanche il Governo avesse il dono di depositario della Verità.


Gli Italiani sono grandi cantori della democrazia ma assai meno ne sono usi. Tra aspirazioni di libertà e gioghi di schiavitù, tra eroi e inetti, tra miti e storia, si sono sempre arrabattati con disinvoltura ma non hanno mai davvero sviluppato una coscienza storica capace di farli disinnamorare del capo carismatico che ne coglie le paure profonde e li assolve dal dovere di pensare.


E così succede che all’ascesa del movimento 5 stelle, giovanilista, web dipendente, ribelle, che doveva aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, si affianca la Lega mai più lombarda interprete della parte più reazionaria, un po’ xenofoba, molto omofoba, spesso lavoratrice e quasi certamente bigotta degli Italiani. Salvini promette di salvare gli Italiani dallo straniero e dalle tasse, e stravince. Chiude i porti, condivide le sue competenze scientifiche sull’utilità dei vaccini, toglie la scorta a Saviano, trasloca definitivamente sul palcoscenico della propaganda post voto invece che al Ministero degli Interni, il tutto all’urlo di guerra “Prima gli Italiani”. Fosse cresciuto in Svizzera, saprebbe di non aver il brevetto nemmeno di quell’urlo visto che deriva malamente dal “Prima i Nostri” della Lega dei Ticinesi.


La Sinistra o quel che ne rimane è troppo impegnata a fare l’analisi della sconfitta, un po’ con l’alibi assai debole che la Sinistra sia in recessione a livello planetario, peccato che il Messico abbia appena eletto il suo primo presidente di Sinistra e la Spagna abbia un Presidente del Governo Socialista che ha rifiutato di giurare sulla Bibbia per la prima volta nella storia. A me pare che la Sinistra Italiana non voglia in realtà vedere che, dopo aver stroncato la parabola ascendente di Renzi, eventualmente discutibile ma certamente esponenziale, forse la parabola più rapida di una politica italiana che sembrava definitivamente cristallizzata e incapace di produrre un evento simile, ora banalmente non ha nessuno ma proprio nessuno che tenga testa a Salvini. Gli autori che, tutti insieme, hanno avuto il potere di boicottare il Referendum del 4 dicembre e il suo ideatore, soprattutto il suo ideatore, non hanno nessuna singola personalità che faccia da contraltare e sappia andare al di là del bofonchiare banalità.


Per intanto il risultato è un lavoro delle due Camere poco superiore alle 50 ore in tre mesi, reddito di cittadinanza flat tax abbattimento della Fornero tutti rinviati perché, guarda un po’, attualmente irrealizzabili. Però rassicuriamoci, perché i sacri confini sono protetti, la Famiglia tradizionale vendicata e rivendicata, i sani valori ripristinati e le quattro vincitrici italiane della staffetta abbracciate dal Matteo nazionale.


Sarcasmo e amarezza a parte, è davvero difficile pensare che l’Italia uscirà rafforzata e migliorata da questa melassa di intenzioni e slogan. Allo stato attuale, mi sembra che il solo vero merito che si debba riconoscere alla Lega sia quello di aver ridimensionato enormemente la crescita del Movimento 5 stelle, sebbene questo risuoni tanto di padelle e bracieri. Da grande leader dei giovani, in poco più di un mese Di Maio è stato declassato a utile idiota o, per rivedere la metafora della scatoletta di tonno, al tonno. Ma è una ben magra consolazione perché sconvolge l’eccitazione degli Italiani non tanto rispetto alle proposte di censimento dei rom o di rifiuto delle ONG e altre amenità, bensì rispetto alla forma con cui queste proposte vengono fatte. Quel misto di autoritarismo, compiacimento e desiderio di compiacere, autoreferenzialità, frasi fatte e sorrisi volti ad aumentare il consenso piuttosto che a produrre risultati tangibili.


Forse è vero che il leader leghista, sostenuto o tollerato da Di Maio e avvantaggiato da un Presidente del Consiglio praticamente invisibile, bravissimo solo a dare lezioni di pessimo inglese e pessima educazione al Consiglio degli Stati, non precipiterà l’Italia in una deriva totalitaria. Questo però avverrà grazie alla solidità della Costituzione Italiana e alle contingenze internazionali, non certo per le profonde aspirazioni che lo animano.

Premesso che la democrazia non è garanzia di giuste leggi e nemmeno di libertà, è però indubbio che mai come ora essa appare in discussione simbolica e psicologica nella testa degli Italiani molti dei quali amerebbero annacquarla in nome dell’uomo forte di cui si fidano e che ha già dimenticato i numeri elettorali in favore di quelli dei sondaggi attuali. Possiamo sperare che la Sinistra si rianimi con una qualche folgorazione sulla via di Damasco, o, con migliore probabilità, che la cocente e prossima delusione economica che l’Italia riceverà dal Governo attuale riporti in auge il pensiero razionale.


Toccata sul portafoglio, disoccupata come prima e in pensione sempre più vecchia, l’Italia ricorderà che il progresso economico non può essere disgiunto da quello umano, del diritto dell’altro, dei diritti civili, della tutela dei più deboli e del riconoscimento dei pochi. Una democrazia che non veda chi sono i pochi, non è tale. E non si illudano quelli che credono di appartenere ai molti, perché nessuno è così tanto convenzionale da non identificarsi in nessuna minoranza, quindi nessuno può realisticamente sperare di non essere a rischio di oppressione.


di Lorenza Lobascio


 
 
 

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