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Cosa leggiamo? Recensione di "Sofia si veste sempre di nero".

  • Immagine del redattore: Paesane
    Paesane
  • 18 gen 2018
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 20 gen 2018


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Come per tanti altri scrittori, anche per Paolo Cognetti (Milano, 1978), il Premio Strega, vinto con il romanzo Le otto montagne (Einaudi, 2016), ha segnato il passepartout per la fama. Un romanzo denso, a volte quasi impenetrabile, capace di regalare empatia ed emozioni.

Tutte le volte che mi capita di leggere un romanzo capace di lasciarmi un segno sul cuore, sento il bisogno di conoscere il più possibile il suo autore: voglio capire cosa l’abbia spinto a raccontare una storia piuttosto che un’altra, a usare determinati giri di frase; voglio provare a capire quali potrebbero essere stati i suoi maestri, le sue muse ispiratrici… e così inizio a leggere tutto ciò che questo autore ha scritto. Dopo le prime due prove letterarie del giovane Cognetti (due raccolte di racconti, Manuale per ragazze di successo e Una cosa piccola che sta per esplodere, edite dalla casa editrice romana minimum fax), nel 2012 è stata la volta del primo romanzo, sempre per minimum fax: Sofia si veste sempre di nero. Un titolo che è già una promessa, che richiama la tua attenzione mentre girovaghi tra gli scaffali di una libreria, che ti prende per mano e ti fa promettere che lo porterai a casa con te…. Beh per me è stato così!

Dunque, le aspettative erano alte: un autore che avevo apprezzato sia nelle prime prove narrative che nel suo romanzo più famoso; un titolo che per me era già un romanzo; e, soprattutto, la soddisfazione nel constatare che, come già nei racconti, Cognetti aveva optato per una protagonista femminile, Sofia appunto.

Quello che al lettore si presenta come un romanzo è, in realtà, una sorta di mosaico di racconti, un intreccio di dieci fili narrativi al contempo indipendenti e perfettamente in armonia tra di loro. Attorno all’universo di Sofia - bambina nata negli anni ‘70, che vedremo crescere per tre decenni tra Milano, Roma e, infine, New York – gravitano quelli di altri personaggi, che non stanno fermi dentro il ruolo di comparse ma, uno alla volta, si passano la staffetta di protagonisti della propria storia, di quell’insieme di scelte, coincidenze e vite, che hanno accompagnato quella di Sofia. Vedremo quindi suo padre, Roberto, ingegnere meccanico durante gli anni di ascesa dell’Alfa Romeo di Arese e del crollo dell’idea di lavoro industriale; sua madre, Rossana, ex artista che ha abbandonato tutto, forse anche sé stessa, per un’idea di famiglia che è evidentemente rimasta solo questo: un’idea; sua zia, Marta, ex militante di estrema sinistra negli anni caldi delle lotte studentesche, che riesce a fatica a conquistare un posto nel cuore di Sofia. Non manca, tra questi personaggi, nemmeno l’autore stesso, che si ricava un posticino accanto alla Sofia ormai adulta, in una New York di inizio millennio. C’è bellezza in questo romanzo, ed è fatta di piccole cose: non abbaglia, non si impone; lascia che il lettore la scopra pian piano, in una serie di sfaccettature, di scorci, di anfratti che svelano panorami mozzafiato… e tutto questo è Sofia, insolitamente e inaspettatamente bella, nel modo meno scontato e convenzionale di esserlo.

Alla fine, Cognetti ci insegna questo, con i protagonisti delle sue storie: a rifuggire la perfezione e a ricercare il bello nei luoghi più nascosti, che siano le cime delle montagne o, come in questo caso, una ragazza dal volto asimmetrico, che veste sempre di nero.



Mariagiulia Dello Russo

Laurea in Lettere e Filosofia.


 
 
 

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